Uno dei principali problemi dell’appena costituito Regno d’Italia derivava dalla questione romana: si trattava sostanzialmente dell'ostruzionismo praticato dal papa Pio IX, che non riconobbe l'esistenza del nuovo Regno e si rifiutò di aprire trattative che avessero come obiettivo l'annessione di Roma al Regno. Mentre il governo sceglieva le vie diplomatiche, mazziniani e garibaldini premevano per una soluzione di forza. La tentò una prima volta Garibaldi, che mosse dalla Calabria con un gruppo di volontari, ma fu fermato dall'esercito piemontese (Aspromonte, 1862). Per aggirare l'ostacolo rappresentato soprattutto dalla Francia, le cui truppe difendevano lo Stato Pontificio, nel 1864 il governo stipulò un accordo: la Francia si impegnava a ritirare entro due anni i soldati, in cambio dell'impegno italiano a non violare militarmente lo Stato Pontificio. Una clausola dell'accordo prevedeva il trasferimento della capitale da Torino a Firenze (1865). Il governo italiano negli anni successivi prese drastici provvedimenti per la riduzione del potere temporale della Chiesa.
Nel 1866 l'Italia partecipò alla guerra austro-prussiana (per noi, la Terza Guerra d’indipendenza), alleandosi con la Prussia. Lo scopo era quello di trarre vantaggio dalla competizione per la supremazia in Germania, dove parimenti era in atto un processo di unificazione nazionale. Fu il cancelliere prussiano Bismarck a offrire al governo italiano un'alleanza militare, in modo da tenere impegnata sul versante sud una parte dell'esercito austriaco e lasciare sguarnito il fronte tedesco. Prussia e Regno d’Italia sottoscrissero quindi un patto segreto (8 aprile 1866), con il quale l'Italia si impegnava a entrare in guerra contro l'Austria non appena la Prussia avesse aperto le ostilità: il vantaggio sarebbe consistito nell'acquisizione del Veneto e di altri territori di nazionalità italiana sotto dominio austriaco.
La guerra iniziò il 20 giugno. Il re Vittorio Emanuele II assunse il comando dell'esercito, mentre a capo dello stato maggiore fu posto il generale La Marmora, appena dimessosi dalla carica di presidente del Consiglio. Le operazioni militari furono condotte senza coordinamento tra i due tronconi dell'esercito che operavano l'uno sul Mincio, al comando di La Marmora, l'altro sul basso Po, agli ordini del generale Cialdini. Nonostante l'inferiorità numerica (70.000 uomini contro 200.000) l'esercito austriaco riuscì a sorprendere alcune divisioni italiane nei pressi di Custoza, ingaggiando uno scontro imprevisto che, seppure di modeste proporzioni, allarmò a tal punto il generale La Marmora da convincerlo a ordinare una ritirata generale, oltre le linee del Mincio e dell'Oglio.
Discordanze di strategia tra i comandi e rivalità tra La Marmora e Cialdini sulla conduzione delle operazioni impedirono di organizzare una controffensiva nel momento in cui gli austriaci ritiravano numerose divisioni per spostarle sul fronte prussiano e una colonna guidata da Garibaldi, dopo la vittoriosa battaglia di Bezzecca (21 giugno), marciava su Trento.
Il 20 luglio nei pressi dell'isola di Lissa (Dalmazia) la flotta italiana subì una clamorosa sconfitta da parte degli austriaci, che si concluse con l'affondamento della cannoniera Palestro (231 caduti) e della nave ammiraglia Re d'Italia (318 morti).
All'esito negativo della guerra fu posto rimedio grazie alla vittoria dei prussiani, che sbaragliarono gli austriaci nella battaglia di Sadowa (vedi Guerra austro-prussiana), a cui seguì la pace di Praga (23 agosto). L'armistizio tra Austria e Italia, sottoscritto a Cormons (12 agosto), fu seguito dalla pace di Vienna (3 ottobre) che prevedeva la clausola, già sancita a Praga, della cessione all'Italia del Veneto previa consegna a Napoleone III: l'imperatore francese in tal modo ripristinava il suo ruolo di garante del regno italiano.
Per quanto riguarda la questione romana, l’occasione per la presa di Roma si presentò nel settembre del 1870. Infatti, dopo la sconfitta francese a Sedan a opera dei prussiani, Papa Pio IX non poté più contare sulla difesa del suo territorio che Napoleone III e la Francia gli avevano fin lì garantito. Il 20 settembre 1870 l'artiglieria dell'esercito italiano aprì una breccia nelle mura di Roma, presso Porta Pia, consentendo a due battaglioni, uno di fanteria, l'altro di bersaglieri, comandati dal generale Raffaele Cadorna, di occupare la città. L'evento sancì la fine del potere temporale della Chiesa e il trasferimento della capitale del Regno d’Italia a Roma.
A. Salvi – L. Piamonte
martedì 23 dicembre 2008
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